Personal branding: amplificazione per la tua azienda

Il personal branding di imprenditori o delle figure di spicco dell’azienda porta benefici, amplificazione e conversione, anche ai brand collegati. B2B o B2C indifferentemente.

Le statistiche confermano la tesi: strategie di personal branding lavorano in perfetta sinergia con la comunicazione aziendale, con incrementi di reach superiori al 500% e un ROI positivo 13 volte più probabile.

Investire su sé stessi ha il miglior ROI

Specialmente per le figure cardine di aziende private, coltivare la propria immagine di professionista si rivela prioritario e rappresenta un valore aggiunto anche per l’azienda per la quale si lavora.

Come sostiene il co-fondatore di Linkedin Reid Hoffman, nel suo “The Startup of You”, ciascuno vive perennemente secondo una «versione beta di se stesso»: siamo in costante evoluzione, impegnati a sviluppare le nostre core e soft skills e soprattutto cercare la chiave migliore per comunicare efficacemente se stessi.

Linkedin ruota intorno alla capacità del singolo di raccontarsi come professionista e esperto sia nella propria cerchia professionale che ai recruiter, che hanno individuato il social come un perfetto territorio per scovare giovani talenti e senior. Con l’affermarsi del social come piattaforma di branding e positioning aziendale, i profili personali rappresentano la dimensione ideale per amplificare e completare la comunicazione dell’azienda, aggiungendo la componente umana.

Il ruolo del social media

Le dinamiche del personal branding non riguardano solo Linkedin, in generale, infatti, i social media sono stati il mezzo attraverso il quale milioni di persone hanno potuto raccontare ad un’audience inedita se stessi e le proprie skills, trovando nelle piattaforme l’affermazione personale che diventa contemporaneamente il proprio brand.

Gli influencer sono l’esempio perfetto per descrivere la potenzialità di investire su se stessi e ci interessano sotto due punti di vista: anzitutto, quello del successo personale e del racconto del proprio brand intrinsecamente legato alla persona, si pensi al brand Chiara Ferragni o Elisabetta Franchi. 

Il secondo aspetto è forse il centro del nostro discorso: un influencer, una personalità affermata e consolidata nella propria sfera di competenza, rappresenta uno strumento potentissimo per amplificare il messaggio di un brand che sceglie di parlare attraverso quella voce, e ne garantisce autorevolezza e maggiori conversioni.

Il ruolo della fiducia

La questione ruota intorno al concetto di fiducia: il consumatore tende a fidarsi più del singolo che dell’azienda ed è fondamentale comprenderlo se si vuole aumentare la penetrazione nel mercato: per questo un’azienda deve investire sul personal branding dei propri dipendenti. Le due componenti lavorano in sinergia: è importante differenziare messaggio e tone of voice, umanizzando il volto dell’azienda attraverso i valori e le competenze di coloro che ci lavorano e ci investono tempo ed energie.

I risultati sono impressionanti: secondo Ryan Erskine, brand strategist, un messaggio dell’azienda condiviso dai propri dipendenti gode di un’amplificazione di reach fino al 561%, viene condiviso il 24 volte di più e ha un engagement otto volte superiore.

Gli ingredienti del personal branding 

 Per la costruzione di un’identità personale strutturata, bisogna anzitutto partire dall’individuazione degli elementi chiave che ci caratterizzano. A quel punto bisogna procedere con costanza in una serie di best practices.

Per prima cosa, la cura dei propri profili social, che rappresentano la vetrina di noi stessi e in quanto tale devono attirare e risultare ordinati e professionali. A quel punto bisogna riempire una confezione ben fatta con un contenuto ricco e pertinente: le stesse dinamiche di content strategy applicate alla comunicazione aziendale, vanno coniugate sul profilo personale, con la condivisione di valore che non può essere semplice reposting ma necessita dell’aggiunta del proprio parere, dell’arricchimento di un’analisi personale. Un professionista per affermarsi, deve poi dedicarsi alla costruzione di una rete, un insieme di collegamenti pertinenti ai quali diffondere il proprio messaggio e, fondamentale, con i quali interagire. Un utente attivo, partecipa e collabora commentando contenuti di altri utenti arricchendoli col proprio contributo.

Il modo migliore per capire praticamente come procedere, è osservare alcuni esempi di ottima gestione del proprio personal branding. Vi suggeriamo: Gary Vaynerchuk di VaynerMedia, Tim Brown di Ideo, Nicola Fabbri di Fabbri 1905, Renzo Rosso di Diesel/OTB, Fernando Machado di Burger King, Richard Branson di Virgin, Alessandro Michele di Gucci, Tomaso Trussardi di Trussardi Group e Gianluca Pasini di Molino Pasini. Ma la lista potrebbe continuare.

Incremento conversioni

Ryan Erskine raccoglie i risultati delle performance di attività di personal branding, e conferma: non solo copertura ma anche vendite:

–       Le lead generate dal personal branding convertono 7 volte di più.

–       Venditori che usano i social hanno una performance migliore del 78%

–       92% dei prospect si fida dell’opinione di altre persone più che dell’azienda

–       ROI positivo 13 volte più probabile

Recruiting e retention

Un’ultima dimensione di analisi sui benefici del personal branding del proprio capitale umano è la capacità di influenzare la loro permanenza in azienda e di attrarre nuovi talenti. Tralasciando i benefici personali del curare la propria immagine online per attrarre gli head hunter, uno sguardo dietro le quinte della propria azienda, la sua definizione attraverso il suo capitale umano e il racconto della sua filosofia dalla voce di coloro che ci lavorano, gioca un ruolo importante nella rappresentazione della propria realtà come luogo ideale dove lavorare al fine di attrarre giovani talenti e le migliori risorse. Inoltre, i dipendenti coinvolti in attività di personal branding sono il 27% più inclini ad essere ottimisti sul futuro dell’azienda, e per questo più intenzionati a rimanerci.

Tutto semplice? Non proprio. La strutturazione di una strategia integrata che miri a coinvolgere attivamente i propri dipendenti e a stimolarli all’interazione e alla partecipazione in un programma di personal / employer branding non è semplice e richiede una serie di competenze. I social media mettono a disposizione una molteplicità di strumenti per agevolare questo tipo di iniziative, ma per padroneggiarli c’è bisogno di esperienza e di una competenza in grado di sfruttarne le potenzialità.

CX fatta bene chiama vendite

La customer experience può essere il migliore driver di vendite per un brand. Non solo per retention ma anche per upselling e acquisition. Come?

Clienti sempre più raffinati, Customer Experience e comunicazione Omnichannel gli assi nella manica per le aziende. Non più solo una buzzword nei piani marketing, ma bensì un mantra di tutte le azioni da compiere.

La corsa alla digitalizzazione

Il bisogno dei consumatori di accedere a servizi non più fruibili offline ha spinto i clienti ad assumere nuovi comportamenti di acquisto e a modificare le proprie abitudini. I brand più reattivi sono riusciti a cogliere le esigenze dei consumatori sfruttando le nuove tecnologie e fornendo esperienze digitali uniche, riuscendo così a soddisfare i bisogni del target e ad essere ricordati positivamente dal consumatore finale. I marchi meno innovativi sono stati invece, inevitabilmente, schiacciati (Brooks Brothers, la più antica catena di negozi al dettaglio d’America, e Primark, una delle più grandi catene di fast fashion prive di e-commerce, hanno subito gravissime perdite finanziarie, ad esempio).

Digitale non significa generico

Il digitale dunque diventerà sempre di più una condizione necessaria per la sopravvivenza e la competitività aziendale. Limitarsi all’offerta di servizi digitali standardizzati, però, significa privarsi consapevolmente delle numerose possibilità di crescita, escludendo a priori la maggior parte dei target specifici ai quali ci si vorrebbe rivolgere. Quotidianamente infatti i piccoli brand competono con quei colossi commerciali che hanno da sempre saputo sfruttare al meglio le opportunità del mercato (ci riferiamo a multinazionali come Amazon e Alibaba) per fare piazza pulita della concorrenza. I brand quindi devono parlare, umanizzarsi per differenziarsi dalla concorrenza dei giganti e, per farlo, devono fornire esperienze uniche, costruite sulla personalità del proprio singolo cliente. 

Un nuovo consumatore unico

Ci troviamo di fronte ad un consumatore sempre più sofisticato, abituato a scegliere tra una vasta gamma di offerte proposte dai diversi brand, ed è per questo che l’unica soluzione all’anonimato da web 2.0 diventa la Customer Experience Omnichannel costruita intorno alle esigenze ed affinità della persona. Pensata cioè specificatamente attorno alla sua storia e future intenzioni d’acquisto. Essere rilevanti ed efficaci per il proprio cliente non significa quindi occupare passivamente una posizione su un motore di ricerca ma essere attivi: creare contenuti, personalizzare l’offerta, dialogare con il lui/lei biunivocamente. 

Un sondaggio McKinsey sulla qualità dei servizi ha rilevato infatti come disponibilità, personalizzazione e interazioni digitali abbiano un impatto significativo sulla customer satisfaction. Secondo la ricerca, i brand che offrono una vasta gamma di servizi digitali raggiungono indici di gradimento più elevati. Sembra che le aziende che scelgono di intraprendere una strada innovativa e tecnologica per rendere più piacevole la Customer Experience riescano ad aumentare fino al 20% la soddisfazione complessiva del cliente e a ridurre i costi fino al 40%.

Il ruolo delle emozioni

Oltre il 90% delle nostre credenze o comportamenti è dettato dalle emozioni. Acquisti impulsivi, amore per un brand, visite su un sito, sono il frutto di emozioni che hanno preceduto l’azione. Sono proprio le emozioni, spesso, a distorcere i ricordi positivamente o negativamente ed è per questo che un brand audace dovrebbe  focalizzare la propria strategia di Customer Experience sull’emozionalità

L’esperienza digitale dovrebbe essere accompagnata da piccole attenzioni che fanno sentire il cliente speciale. Secondo la Peak End Theory, le persone giudicano un’esperienza dal modo in cui essa finisce. Ad essere decisiva, quindi, non è tanto la somma delle azioni fatte durante l’esperienza ma come quest’ultima giunge al termine, è in questo preciso istante che è possibile fare la differenza. Far sentire i clienti speciali al momento dell’acquisto, dedicandogli messaggi o offerte personalizzate, significa  stimolare un’associazione positiva con il brand che si tradurrà in fidelizzazione e ulteriori acquisti. 

Per quanto riguarda l’e-commerce, diverse sono le azioni che possono essere compiute sul sito per allietare l’acquisto: alcuni brand hanno deciso di proporre una donazione in linea con i valori dell’utente, altri giocano su dediche personalizzate, altri sull’assistenza al cliente che non si esaurisce al momento dell’acquisto.

La video Customer Experience

La personalizzazione, l’abbiamo ripetuto più volte, è diventata ormai un must per una comunicazione efficace. E-mail, Blog e Social media, sono gli strumenti maggiormente utilizzati per coinvolgere l’utente. 

Per quanto riguarda i formati, invece, i video sembrerebbero i più performanti da un punto di vista economico (ROI), emotivo e relazionale, offrendo una maggiore possibilità di conversione (+80%), coinvolgimento, comprensione del target e livello di loyalty.

Gli utenti guardano i video volentieri e sono più propensi ad acquistare i prodotti che hanno visto all’interno di questo tipo di contenuti, è per questo che rappresentano una grande opportunità per le aziende. Oltre a suscitare maggior interesse nei consumatori, il contenuto video può racchiudere più informazioni al suo interno in tempo breve, permettendo al brand di comunicare tanto e bene senza annoiare l’utente. 

Il video, quindi, dovrebbe essere integrato in una strategia a lungo termine di Marketing Omnichannel. Il desiderio di ogni brand sarebbe quello di creare un unico video virale che raggiunga un altissimo numero di views e che sicuramente darebbe dei risultati immediati. Il video virale però può spegnersi molto velocemente. Sarebbe più produttivo pensare, oltre a la viralità dei video, a dei contenuti continuativi, che permettano all’azienda di rimanere in contatto più a lungo con i suoi consumatori attraverso una presenza online stabile.

Una Video Strategy può comprendere tre tipi diversi di video: hero, hub e help.

I Video Hero sono i classici video virali, con forte carico emotivo e creativo. Il messaggio è forte e finalizzato ad attirare l’attenzione. Questo tipo di video si utilizza quando si vuole far parlare di sé e raggiungere un pubblico più vasto.

I Video Hub sono quelli che dovrebbero accompagnare i video hero, mantenendo attivo l’interesse nei confronti del brand. Dovrebbero essere pubblicati costantemente e si basano su un format definito.

I Video Help sono meno creativi e più informativi, sono i video utili. Parlano dell’azienda, dei dipendenti o di come funziona un determinato prodotto. Sono sicuramente dei contenuti che facilitano la comprensione dei valori del brand e del corretto utilizzo dei prodotti proposti.

Una Video Strategy completa dovrebbe comprendere tutte e tre le classificazioni video sopra elencate, adattandole alle esigenze e agli obiettivi del momento.

La Customer Journey per essere ottimale dovrebbe saper interpretare efficacemente i picchi emotivi dei consumatori e sfruttarli al meglio, prevedendo azioni ad hoc per tutto il processo di contatto tra brand e consumatore. Il processo, che inizia dalla conoscenza del brand, non può interrompersi nella fase di acquisto ma deve protrarsi nel corso del tempo, cercando di creare un rapporto continuativo e in evoluzione basato sulla personalizzazione dei contenuti. L’utilizzo dei formati più performanti, come i video, nei diversi touchpoint facilita e velocizza il raggiungimento degli obiettivi.

Cosa serve, quindi, per rendere l’esperienza del consumatore unica, personalizzata e multicanale?

  • Proporre offerte digitali in linea con le esigenze del consumatore, coinvolgendolo nelle decisioni
  • Investire sulla ricerca
  • Adottare un piano di comunicazione personalizzato 
  • Focalizzarsi sulla differenziazione e personalizzazione del prodotto o servizio

Digitale? Assolutamente si ma con criterio

Abbiamo visto come essere presenti online sia un requisito necessario e non più sufficiente per portare avanti un business di successo. Aggiungere offerte digitali più ricche va bene ma non basta. 

Occorre investire su un’integrazione multicanale che presidi ogni punto di contatto con il target di riferimento. Per farlo serve predisposizione tecnologica e sguardo all’innovazione. Sono le aziende più innovative, che mostrano coerenza e continuità tra proposte online e servizi offline, le più apprezzate dai consumatori. 

Il tutto deve essere condito da personalizzazione e disponibilità al dialogo. Partendo dallo studio del consumatore e dei suoi bisogni possono essere intercettate delle strategie di comunicazione integrata di successo. 

Sensibilizzare dipendenti e clienti, tramite promozioni, video help etc. poi, aiuta l’azienda a stringere legami forti e produttivi. Le aziende dovrebbero creare incentivi che destano interesse e coinvolgimento non solo nei consumatori ma anche nei propri dipendenti, creando un team forte e incentivato al raggiungimento degli obiettivi. 

TDP sviluppa ogni giorno esperienze digitali uniche e su misura, individuando i bisogni e le esigenze degli stakeholder in gioco, coinvolgendo i clienti nel processo di progettazione e creando un team di esperti ad hoc per ogni esigenza.

Se vuoi migliorare la cx dei tuoi clienti, originale e personalizzati, parlane con noi (link pagina contatti).

Conversione o branding nel B2B?

Conversione o branding; fidelizzazione o acquisizione: chi paga di più nel B2B in questa nuova normalità fatta di restartup e cambio di paradigma?

Numeri chiari: 0,0 vs 1,6. Nel marketing B2B dedicarsi unicamente a strategie di up e cross selling non determina una crescita paragonabile a chi sceglie di comunicare in equilibrio tra retention e acquisition.

Il coraggio della prospettiva

Lo scenario del B2B marketing rimane limitatamente ancorato a strategie di breve periodo, in grado di stimolare risultati immediati ma poco durevoli. 

Manca una visione strategica più ampia: solo il 4% delle imprese, infatti,

monitora gli effetti delle proprie campagne marketing in una prospettiva temporale superiore ai sei mesi. Eppure dallo studio di LinkedIn B2B Institute, basato sui dati di IPA data Bank che ha esaminato le performance di crescita di aziende cross-settore per un decennio, traspare evidente la correlazione tra crescita e visione strategica nel lungo periodo. 

La risposta dell’equilibrio

L’atteggiamento attuale del mercato B2B predilige investimenti verso obiettivi del breve periodo, guidato da una fretta di risultati volta a intercettare la domanda e stimolarla alla conversione. Eppure le più grandi opportunità di vendita e marketing nel B2B sono nel grande out-of-market rispetto al ristretto in-market: è infatti tra coloro che ancora non manifestano un bisogno immediato che un brand lungimirante può costruirsi una crescita consistente, ragionando in ottica branding e posizionandosi nelle menti dei prospect che costituiranno la domanda del domani.

Non è necessario scegliere, la risposta è nell’equilibrio, che varia a seconda della maturità del brand. Jon Lombardo e Peter Weinberg, alla guida di LinkedIn Business, suggeriscono per i brand più giovani 35-40 branding e 65-60 activation; per brand maturi, percentuali invertite.

Significa che la strategia dell’equilibrio tra attivazione all’acquisto con messaggio razionale e branding marketing con messaggio emozionale pagherà 1,6 volte di più rispetto ad una di breve termine basata sul puro ‘immediate drive to sales’.

Come comunicare?

Le prospettive di crescita si celano quindi nel comunicare ampliando il target, differenziando il messaggio in relazione all’interlocutore. Citando Jenni Romaniuk, lo scopo ultimo del marketing di un brand è fare in modo che questo venga in mente ai potenziali clienti come la risposta più logica e rapida per soddisfare il loro bisogno

Rivolgendosi a clienti vicini alla conversione, bisogna puntare sulla razionalità, con un messaggio pratico e informativo. Ma per garantirsi uno spazio nella mente del proprio target nel lungo periodo, occorre costruire un messaggio di branding emotivo, contraddistinto da unicità e costanza. 

All’interno della comunicazione B2B ci si dimentica spesso di creatività e originalità dell’ideazione del messaggio, compromettendone l’efficacia:

“Your products can be boring, but your ads can’t be”.

Il rapporto giusto

Jon Lombardo e Peter Weinberg, alla guida di LinkedIn Business, suggeriscono per i brand più giovani 35-40 branding e 65-60 activation; per brand maturi, percentuali invertite.

Significa che la strategia dell’equilibrio tra attivazione all’acquisto con messaggio razionale e branding marketing con messaggio emozionale pagherà 1,6 volte di più rispetto ad una di breve termine basata sul puro ‘immediate drive to sales’.

Lo scarso potere del marketing nella customer loyalty

Seppur il 65% dei marketers sia convinto che per crescere sia necessario concentrarsi su logiche di retention, i dati dimostrano come non sia la loyalty bensì l’acquisizione di nuovi clienti la strada da percorrere per garantire la crescita. Il motivo è semplice: le dinamiche che guidano il consolidamento della loyalty sono difficilmente influenzabili da un investimento marketing, perché strettamente legate alla qualità del prodotto e alla customer journey post conversion. L’incremento di guadagno con strategie di up e cross selling è, inoltre, limitato. 

Il consolidamento della loyalty si costruisce quindi paradossalmente lavorando sui prospect. I dati evidenziano infatti una correlazione direttamente proporzionale tra penetrazione e loyalty. 

Una strategia in contraddizione solo apparente anche il concetto di costi di acquisizione più elevati rispetto a quelli di retention. Al crescere della acquisizione, più opportunità di retention duratura saranno inserite nel customer journey.  

E quindi?

Proprio per il momento che stiamo vivendo con una fase re-startup da parte di molti ‘legacy business’ più o meno maturi, il bilanciamento tra sales activation e branding permetterà di ottenere dividendi più in fretta del previsto e al contempo con effetto duraturo, garantendo risparmio in marketing nel medio periodo.

Se vuoi approfondire come approntare la strategia di B2B marketing più adatta per la tua azienda, parliamone. (inserire link pagina contatti)

Stories: come usarle al meglio?

Le Instagram stories rappresentano un potentissimo strumento di visibilità. Molti marketer però storcono ancora il naso. Come sfruttarle al meglio e non avere la sensazione di creare contenuti volatili?

Le Instagram stories rappresentano un potentissimo strumento di visibilità. Punto ormai assodato e ammesso, in alcuni casi a denti stretti, da tutti i marketer. Molti però storcono ancora il naso.

Le Instagram stories, lanciate per la prima volta nel 2016, rappresentano un potentissimo strumento di visibilità. Punto ormai assodato e ammesso a denti stretti da tutti i marketer (leggi aziende). Molti però ancora storcono il naso, sottolineando il limite di 24 ore a dispetto di numeri enormi di crescita e di forti tassi di engagement che possono esser raggiunti in breve tempo, oppure definendole un formato troppo frivolo per i contenuti della proprio brand. 

Sbagliato due volte. Alla fine della lettura scoprirete il perché.

Recap: sempre più amate, le stories sono diventate un fenomeno e continuano a far impazzare le persone grazie a continue novità – adesivi, tag, decori, filtri e chi più ne ha ne metta. Come fare per sfruttarle al meglio? La base d’asta è lavorarci sopra con umiltà, semplicità, immediatezza, velocità e chili di originalità.

24 ore sono lunghe  

I numeri parlano chiaro: sono oltre 500 milioni le persone che, ogni giorno, cliccano sulle Stories e – tra queste – un terzo di quelle più viste sono pubblicate da un account aziendale. Mediamente 1 Storia su 5 riceve risposta in Direct. Perché tanto successo? Perché sono il modo più semplice ed efficace per presentare il tuo brand, ma soprattutto il modo più diretto.

La durata delle Stories è di 24 ore: la limitazione del tempo, a differenza di quanto si possa pensare, rende tutto molto più interessante e i followers sono presi dalla curiosità di vedere un contenuto a tempo limitato. In alcuni casi il clic è d’obbligo per curiosare nella vita altrui e bisogna farlo prima che sia troppo tardi. Quindi si, parliamo di un pro che stimola l’utente e non un contro.  Un doppio pro se si considera che lanciare l’ultimo contenuto del feed in una storia, garantisce il triplo di visualizzazioni al contenuto feed stesso. 

Ulteriore scetticismo? Vi risolviamo il problema con le stories in evidenza, rendendo il contenuto fruibile per sempre nel vostro feed.

Feature native 

Per aumentare organicamente la reach delle proprie storie è fondamentale tenere conto di una serie di dettagli che hanno un denominatore comune: impiegare le feature native dello strumento. In primis:

  • Scegli il target di riferimento e pensa in grande;
  • Realizza un contenuto breve e il più possibile spontaneo;
  • Decora la tua storia con gli adesivi (posizione, domanda, sondaggio, #hashtag, menzione, musica) e stimola la partecipazione degli utenti. Le domande, i sondaggi e le emoji slider sono uno strumento molto utile anche per intercettare i gusti del tuo pubblico;
  • Porgi una domanda, scopri la preferenza e riproponi un contenuto in linea con il gusto emerso. Usa anche i corretti hashtag per rendere il tuo contenuto tracciabile e menziona chi compare nella tua storia in modo che possa essere repostata aumentando la visibilità;
  • Dirigi il traffico degli utenti sul tuo sito web grazie allo swipe. Se non hai ancora raggiunto 10mila follower ricorda di reindirizzarli al link in bio;
  • Racconta una storia: lo storytelling incuriosisce l’utente e lo spinge a fare tap;
  • Lascia spazio alla sperimentazione. Deve esserci un equilibrio tra ciò che funziona nella tua strategia sociale e ciò che devi provare. La sperimentazione può aiutarti a migliorare la tua creatività e la rilevanza che hai per il tuo pubblico.

Chat per tutti e 32

Da non dimenticare la chat, che permette di avviare una conversazione nelle stories su una tematica stabilita. Da luglio è possibile aggiungere questo elemento ai propri contenuti a scomparsa e avviare direttamente delle conversazioni di gruppo. L’autore del contenuto potrà apporre lo sticker nella storia e i follower potranno fare richiesta di entrare nella conversazione semplicemente cliccando “Partecipa alla chat”. Sarà l’autore della chat a decidere chi far partecipare, anche perché per ora i gruppi sono molto ristretti, contando al massimo 32 utenti.

Filtri facciali in AR

In un primo momento solo Instagram poteva creare i propri filtri, ora la feature è accessibile a chiunque. Si tratta di un personale modo di raccontare una storia, un accessorio, una maschera, un abito da indossare.  Ma come possono questi filtri portare traffico a un brand? Per inserire un filtro facciale nelle proprie storie è necessario seguire o visitare il profilo di chi lo ha creato. Per questo creare filtri customizzati è diventato elemento di forte interesse per le aziende e gli influencer self-made. Si tratta di elementi molto semplici che permettono di fidelizzare il proprio pubblico rendendolo partecipe. 

Sfruttare i branded content 

Un’altra faccia del social da non sottovalutare è l’influencer marketing. Le aziende e i brand possono far postare dai propri testimonial/influencer contenuti con i propri prodotti/servizi, per poi farli apparire come sponsorizzati. Ma come funzionano le Stories brandizzate?

I creatori di contenuti possono promuovere in modo esplicito la Storia spuntando l’apposita opzione delle impostazioni avanzate. In questo caso, sotto al nome del creator spunterà in piccolo “Partnership pubblicizzato con *nome dell’azienda*”

L’azienda committente vedrà il post nella sezione ADS manager e potrà creare direttamente da lì campagne con la Storia come inserzione.

Le Storie di Instagram aiutano a far crescere i tuoi utenti, ma è necessario saper creare post coinvolgenti e di qualità. Assicurati di utilizzare tutte le funzioni messe a disposizione per te, crea contenuti coinvolgenti e condividi informazioni utili per il tuo pubblico.

In questo modo, oltre ad ascoltare i feedback dei tuoi follower, potrai far crescere il tuo account e incrementare il tuo business. 

Vuoi saperne di più? Contattaci (inserire link pagina contatti) per discutere la migliore strategia digital marketing su Instagram Stories e tutto l’ecosistema social per aumentare il giro d’affari della tua azienda.

Branded Ideas diventano Brand

L’idea branded più vincente? Quando il contenuto è talmente forte da far dimenticare il brand che l’ha generato diventando a sua volta un brand. Abbiamo esaminato alcuni dei più clamorosi casi dal passato ad oggi. Michelin, Stihl, Red Bull… e pure Guinness.

Per rendere davvero vincenti le tecniche di marketing sono i contenuti e le Idee a fare la differenza che in pochi, eccezionali casi, sono talmente forti da diventare esse stesse dei brand.

Branded content, outbound marketing e native advertising: per arrivare a conquistare i potenziali clienti di un brand il marketing ha inventato numerose tecniche. Per renderle davvero vincenti sono i contenuti e le Idee a fare la differenza che in pochi, eccezionali casi, sono talmente forti da diventare esse stesse dei brand.

In altre parole, progetti pensati out-of-the-box che non solo hanno il potenziale di ribaltare le sorti del brand che le ha portate alla luce, ma anche di superarlo, travalicandolo nella notorietà. Incredibile? No, è successo davvero.

Per arrivare a quel livello di successo è fondamentale operare con una strategia fuori dagli schemi (leggi fuori di testa) in maniera creativa e, forse all’inizio, apparentemente sconnessa. Non limitandosi, insomma, solo alle funzioni del nostro prodotto o servizio, ma cercando di guardare oltre, più in grande.

I migliori Use Cases

Abbiamo selezionato una gallery di alcuni dei casi più famosi e di maggior impatto, casi che dimostrano come lo strategy thinking senza freni inibitori (ma non per questo meno studiato) possa molto di più qualsiasi funnel di conversione applicato da solo.

Alcuni forse li conoscete già, altri potrebbero davvero sorprendervi.

I migliori Use Cases

#Michelin
#Stihl
#Red Bull
#Guinness
#Pirelli

#1

brand: Michelin
idea: Guida Michelin

obiettivo iniziale: portare la gente fuori porta per assaggiare i piatti dei ristoranti della guida e così far consumare gli pneumatici.

L’azienda francese capitanata dall’inconfondibile e tondeggiante Omino bianco è altrettanto celebre per la sua Guida Michelin, pubblicata per la prima volta nel 1900 e ideata da André Michelin. Da lì il successo: diffusa in sempre più paesi e con indicazioni sempre dettagliate e precise, la guida si è anche sdoppiata: la Rossa raccoglie le valutazioni di ristoranti e alberghi, mentre la Verde è pensata per il turismo itinerante. È riuscita a creare anche un idioma diventato comune a tutti, ovvero “ristorante stellato”. Da allora e soprattutto oggi, entrare nella Guida Michelin è un obiettivo e un vanto e perdere una stella nel giudizio uno smacco enorme, basti pensare alla delusione dello Chef-star Cracco quando si è visto levare una stella al suo ristorante. Un’idea diventata brand che ha la capacità di decretare il successo e l’insuccesso di un’azienda. Chapeau, André Michelin.

#2

brand: Stihl
idea: Timber Sports

obiettivo iniziale: dare l’occasione a tutti i professionisti del legno di confrontarsi usando gli attrezzi Stihl e creare un’occasione di visibilità ad un prodotto che non riscuoteva passaggi media.

 

Fin dal 1926 l’azienda tedesca Stihl punta su tecnologie rivoluzionarie e idee innovative per facilitare il lavoro dell’uomo nella natura. Tra i maggiori produttori al mondo di motoseghe e attrezzature da giardinaggio, Stihl è rinomata per la qualità dei suoi articoli, la passione dei suoi fondatori e… la genialità delle loro idee. Per dare una maggiore visibilità ai loro prodotti che, diciamolo pure, non hanno certo un facile appeal, si sono inventati la Stihl Timber Sports, una serie di gare per tutti i professionisti del settore legno in cui gli atleti competono con gli attrezzi del perfetto lumberjacks. Un evento che dal 1985 ha avuto sempre più successo, comprendendo sempre più discipline e che coinvolge sia uomini che donne, diventando così una vera e propria Olimpiade del Legno. E, poiché i vincenti non mancano di stile, ora gli atleti e gli appassionati possono anche indossare outfits e accessori firmati Stihl Timbersports.

#3

brand: Red Bull
idea: Red Bull soccer teams

obiettivo iniziale: conquistare il mercato del calcio con qualcosa di più viscerale e di minor costo nel lungo periodo rispetto a una semplice sponsorizzazione (tecnica).

 

La più celebre fra le bevande energetiche è senza alcun dubbio la Red Bull. Fondata nel 1984, l’azienda austriaca si è riuscita a imporre grazie al design allungato e inconfondibile delle lattine, al motto-mantra “ti mette le aaali” e alle advertising campaign divertenti e mirate. Ma l’azienda si è spinta oltre: per sponsorizzarsi ha scelto inizialmente di legarsi a sport estremi come lo snowboarding e il windsurfing, fino ad arrivare a comprare nel 2006 la squadra di calcio New York/New Jersey MetroStars, cambiandone i colori e il nome in New York Red Bulls. Una squadra che grazie alla famosa bevanda è riuscita ad accogliere giocatori del calibro di Thierry Henry e Tim Cahill. Ora Red Bull ha anche una squadra a Lipsia, una a Salisburgo e una a San Paolo e investe il 15% del suo fatturato in sport: circa 800 atleti sono sponsorizzati in 200 specialità. Non solo fuoriclasse ma anche ragazzi sconosciuti, secondo la philosophy aziendale di “voler mettere le ali ai talenti e alle idee”.

#4

brand: Guinness
idea: Guinness World Records

obiettivo iniziale: dare l’occasione a tutti di avere qualcosa di cui parlare mentre erano al pub e così seccare la bocca per consumare più birra.

 

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare del Guinness dei Primati. Alzino ora la mano quanti sapevano che è stato inventato dalla Guinness. Sì, esatto, quella della birra. Io lo ammetto, non lo sapevo e non mi era mai venuto in mente di collegare le due cose, seppure, in effetti, la parola Guinness fosse un grossissimo indizio. Eppure l’idea di creare un libro che riunisse tutti i record del mondo è di Hugh Beaver, amministratore delegato della più famosa birra scura di Dublino. Edito per la prima volta il 27 agosto 1955, il suo successo fu inarrestabile: tutti volevano sapere chi era l’uomo più alto, quello più basso, il disco più venduto, l’animale più strano. Un libro unico nel suo genere e diventato un caso mondiale: c’è gente che mira solo ad entrare nelle sue pagine e battere il record dell’anno prima. Ne sono nati diversi show televisivi e anche un videogioco.

Il Guinness World Record vanta esso stesso un record: è il libro soggetto a copyright più venduto al mondo.

#5

brand: Pirelli
idea: calendario Pirelli

obiettivo iniziale: regalare un calendario esclusivo ai clienti dell’azienda in modo da lasciare un’impronta e rafforzare il mercato.

 

Il calendario Pirelli è un cult per eccellenza. Affascinante, sensuale e capace di dettare tendenza, da 1964, anno della sua nascita, a oggi sono stati pubblicati 45 numeri. Oggetto esclusivo e di collezione, è riuscito a lanciare modelle del calibro di Naomi Campbell e vanta collaborazioni con i migliori fotografi del mondo: Richard Avedon, Annie Leibovitz, Bruce Weber, Peter Lindbergh e Steve McCurry, tra i tanti. Un’incredibile operazione di marketing che è riuscita a fare entrare nel mondo più glam e patinato un’azienda che fino agli anni Sessanta era famosa solo per i pneumatici, un prodotto che, come per le motoseghe di Stihl, in apparenza non mostrava certo l’appeal giusto per far parte del settore fashion. Eppure “The Cal” ci mostra come osare e andare oltre la funzione più apparente di un prodotto possa portare un successo incredibile e indiscusso. Ancora oggi.

La sfida del Customer Engagement

Capire cosa vogliono le persone e offrire loro risposte precise è la chiave per un pubblico fidelizzato. Ormai abbiamo fatto l’orecchio al “customer engagement”, di cui spesso si sente parlare, ma oggi ci vogliamo comunque porre un paio di domande. Il coinvolgimento del cliente e le interazioni che ha con il brand sono davvero così importanti per un business di successo? Come si affrontano nel modo migliore le sfide del customer engagement?


La clientela fidelizzata acquista più frequentemente – fino al 90% in più – e in modo continuativo, attira altri clienti, è curiosa rispetto alle nostre proposte.

La prima domanda è molto semplice e la risposta è “sì, certamente”, perché se se fosse altrimenti non avremmo la necessità di dedicare tempo ed energia al secondo quesito. Senza dilungarci troppo, possiamo riassumere dicendo che ogni brand o azienda dovrebbe curare con grande impegno la customer retention, cioè trattenere il cliente, perché gli sforzi per conservarlo oggi, diventano i guadagni di domani. Perché? La clientela fidelizzata acquista più frequentemente – fino al 90% in più – e in modo continuativo, attira altri clienti, è curiosa rispetto alle nostre proposte. Quindi, un miglior engagement significa più fedeltà, maggior conservazione e minor tasso di abbandono.

Tradotto in numeri, per l’1% di clienti che torna per una visita successiva, il fatturato complessivo può aumentare del 10%. Viceversa i clienti persi possono intaccare il 13% del guadagno di un’azienda. Inoltre, quando un cliente è fidelizzato, aiuta il brand con il passaparola e tendenzialmente siamo più inclini a seguire il consiglio di un conoscente, piuttosto che a fidarci di un brand sconosciuto. Senza contare che un cliente che conosce bene un’azienda è più ben disposto a sorvolare su eventuali errori o cambiamenti. E non è poco!

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi come sia possibile che esistano ancora aziende che non si occupino molto del customer engagement. Per quanto fondamentale ed efficace, dobbiamo considerare alcune cose.

  • Innanzitutto, come ogni altra cosa, richiede lavoro e impegno. Costanti, perché non si può pensare che bastino un’azione iniziale o interventi a spot per ottenere i risultati attesi. È necessario essere presenti e costanti per non perdere chi ci segue.
  • Capire quali contenuti vogliono ricevere i nostri clienti e come preferiscono che avvenga è necessario. Il brand deve allinearsi con i loro gusti e le loro esigenze. Anche per fare questo sono richiesti tentativi, valutazioni e ancora tanto impegno.
  • Non esiste la soluzione perfetta e preconfezionata, saranno sempre le persone a cui il brand parla a decidere quali aspetti amare, cosa funziona e ciò che invece non piace. Insomma, dai alle persone ciò che vogliono e indirizzale, rendi più semplici le loro scelte.

Ma come posso sapere cosa vogliono le persone?

Anche in questo caso non abbiamo una nuova e rivoluzionaria risposta, perché in fondo le persone continuano a volere ciò che hanno sempre voluto. Ognuno di noi vuole sentirsi unico e riconosciuto, ricevere risposte veloci e mirate alle proprie esigenze, ricevere prodotti e servizi pertinenti alle proprie esigenze.

Fino a poco tempo fa – e in parte ancora oggi – tutto questo avveniva nei negozi in mattoni, dove dalla strada si entrava nel posto giusto e si intraprendeva una relazione umana uno a uno. Qualcuno in quei negozi conosceva il tuo nome, sapeva chi eri e cosa eri solito acquistare e così ti offriva preziosi consigli e suggerimenti, sempre utili e mirati. E tu ti fidavi…

Tenendo chiaro in mente questo nostro passato quasi bucolico, parliamo oggi di e-commerce e shopping online. A tutti sarà capitato di fare almeno un acquisto su Amazon, per poi ricevere consigli su prodotti che si sono rivelati davvero interessanti. I retail raccolgono dati su di noi, ricordano cosa compriamo e usano queste preziose informazioni per personalizzare la nostra esperienza di acquisto. E questo ci piace! Vediamo una relazione con il brand e se ci vengono offerti anche i commenti di altri utenti e la possibilità di contattare in modo diretto e veloce il venditore, allora il passaggio ad inserire i dati della carta di credito probabilmente sarà breve.

Un po’ di numeri…

Si stima che il più del 50% dei consumatori è influenzato nell’acquisto quando il retailer lo riconosce, gli consiglia le migliori opzioni sulla base di acquisti precedenti e conosce il suo storico. Umanizzare l’esperienza online e inserire gli utenti in un contesto trasparente, quindi, è una mossa decisamente intelligente.


Per arrivare a elevati livelli di personalizzazione, è fondamentale che gli utenti collaborino con i retail e con le nuove generazioni sta diventando una pratica diffusa. Il 63% dei millennials e il 58% della Generazione X ha dichiarato che è favorevole alla condivisione di informazioni personali con i brand, a patto di poter ricevere in cambio promozioni targettizzate, offerte personali, suggerimenti su servizi e prodotti. Un dare per avere, che funziona per entrambe le parti. Quando un cliente – o potenziale tale – vede un contenuto che lo affascina o lo interessa, è più facile che venga coinvolto.

Customer Engagement

  • Fidelizzare i clienti
  • Personalizzare l’offerta
  • Conoscere il proprio pubblico
  • Utilizzare i video

Perché i video aumentano il customer engagement?

Per aumentare il customer engagement la comunicazione deve essere personalizzata e dobbiamo chiederci quale sia – per noi e per i nostri prodotti – la soluzione migliore per raccontarci ai diversi clienti.

La risposta ovviamente non è una sola, ma per opinioni ed esperienza pensiamo che i video siano una soluzione molto efficace quando si parla di personalizzazione ed engagement.

I dati mostrano che i video sono il medium più efficace per trasmettere informazioni alle persone, perché è facile ricordare ciò che vediamo ed essere coinvolti da una storia. Il 90% delle informazioni viene dato all’uomo attraverso stimoli visivi, ma i ricordi affidabili solo il 40%. Se si punta su una stimolazione sia della vista che dell’udito, questo valore sale al 68%. Si tratta di stimolare nel modo migliore le persone, parlando con loro conoscendole, affascinarle. Ecco perché i video funzionano.

Come posso personalizzare i miei contenuti?

Siamo convinti che unire l’efficacia della comunicazione audiovisiva, con quella di un messaggio personalizzato sia davvero una soluzione vincente. Infatti, abbiamo constatato e spiegato che il video è un potente mezzo di comunicazione, che offre buoni risultati e di per sé un buon livello di engagement. Dobbiamo, però, precisare che questa tipologia di stimoli e contenuti sono proliferati nel mondo del web e gli utenti incappano con frequenza elevatissima in video di diversa natura. Per non rischiare di essere solo “uno fra tanti”, è fondamentale colpire la persona con cui parliamo, facendola – come detto prima – sentire unica e riconosciuta. Una curata targettizzazione del pubblico permette di lanciare messaggi mirati e su misura, con risultati migliori. Noi di The Digital Project crediamo nei progetti di video personalizzati (link pagina video personalizzati), che permettono di porre al centro della strategia il cliente, offrendo anche ai brand la massima flessibilità nel creare una comunicazione che rispecchi al meglio ciò che sono.

Provare per credere!

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